
Il driver che più di ogni altra cosa i mercati stanno focalizzando in questo inizio d’anno è l’inflazione. Il rialzo dei prezzi, temuto da noi analisti, per lungo tempo invece minimizzato dalle banche centrali, entra prepotentemente nelle valutazioni di qualsivoglia scenario. Il tenore del rialzo dei prezzi è sostenuto dal forte aumento delle quotazioni dell’energia. In Eurozona sono i prezzi del gas naturale, importato dalla Russia, a contribuire maggiormente al rialzo dell’indice CPI. Qualsiasi analisi sulla persistenza dell’inflazione deve partire da quest’ultimo elemento, in quanto il comportamento delle quotazioni del gas determinerà il tenore dell’inflazione e di conseguenza le aspettative sull’azione monetaria della BCE nel prossimo futuro.
Infatti, mentre la Fed è impegnata a governare le dinamiche inflattive provenienti da più fonti (petrolio, consumi, beni intermedi), La BCE al momento si trova a dover governare variabili fuori controllo come l’energia ed i trasporti, il cui denominatore comune trova nei prezzi del gas l’elemento trainante.
L’origine del rialzo del gas naturale non è direttamente contrastabile da un’azione restrittiva. Dipende da fattori di natura geopolitica. Su questo fronte si sono acuiti i timori che il confronto diplomatico in atto tra le diverse faglie possa scivolare sul piano militare. La buona notizia è che i mercati hanno fortemente dubitato di quest’ultima opzione. Infatti le quotazioni del future sul gas naturale, il Dutch TTF quotato all’ICE, dopo aver fissato un picco ciclico a 180 eur/mwh poco prima di Natale, è scivolato verso i minimi di settembre a 75 euro in attesa dell’esito degli sviluppi diplomatici in corso. Nel frangente le negoziazioni si sono concentrate tra 75 e 95 eur/mwh. Qualora i trader avessero ritenuto probabile l’exhalation militare, l’attesa avrebbe spinto le contrattazioni sopra i 110 euro.
La buona notizia è declinata invece dalla possibile violazione dei prezzi al ribasso di quest’ultimo range, formando un vero e proprio segnale di inversione del ciclo dominante, con un ritracciamento del precedente rialzo dapprima a 55 euro, successivamente verso la fascia 40/30 euro.
Questo scenario assume valenza operativa con la violazione di area 75/70 euro. Sotto tale fascia di prezzo scatterebbero infatti molti ordini di protezione su strategie rialziste pianificate da quanti invece temevano una nuova recrudescenza del rialzo a causa delle tensioni politiche.
Quanto stimato contribuirebbe a stemperare in modo significativo le pressioni inflattive in Eurozona, spingendo la BCE a rimandare al prossimo autunno l’intervento sui tassi.
La Fed invece, come scritto, avverte la necessità di contrastare l’inflazione su più fronti. Sarà quindi più determinata la sua azione restrittiva. Gli investitori scontano quattro o più chiamate al rialzo dei Fed Funds nel corso dell’anno. Ciò che non scontano sono le reazioni riflessive dei mercati Risk_On, equity e commodity. La Fed mira a riequilibrare le quotazioni degli attivi ma non a distruggere significativamente valore. Per cui calibrerà l’azione monetaria verificando gli impatti su uno spettro piuttosto ampio di variabili finanziarie ed economiche: equity ed GDP.
Su queste basi è verosimile proiettare le linee di policy monetaria su basi divergenti tra Fed e BCE, nonostante il recente intervento, poco lineare, del Governatore Christine Lagarde rilasciato nella conferenza stampa di febbraio. Se tale ipotesi è corretta, dovremmo avere ancora un rapporto di cambio in cui prevale la forza sul dollaro con un’area spartiacque tra 1.15/1.16.
L’eventuale ribasso dei prezzi delle commodity quotate nei mercati a termine, determinato dai realizzi della componente speculativa, sarà indotto dal ritiro progressivo della liquidità da parte del Regulator statunitense. L’effetto di un rapporto di correlazione negativo tra dollaro e commodity tenderà quindi a supportare la divisa americana.