
Le riunioni della Federal Reserve e della BCE di dicembre segneranno la conclusione di questo 2022 denso di eventi che hanno inevitabilmente influenzato non poco l’andamento dei mercati delle commodity, dei tassi di cambio ed in particolare la tendenza dell’euro.
La moneta unica ha manifestato un’accentuata vulnerabilità prodotta dagli effetti della crisi ancora irrisolta in Ucraina. Nella percezione degli investitori la maggiore criticità deriva dal cambiamento del paradigma energetico. Prima della crisi l’Europa beneficiava di un solido interlocutore in grado di fornire gas naturale a condizioni estremamente vantaggiose. Tali condizioni costituivano uno degli elementi portanti in termini di competitività dell’industria manifatturiera. L’Europa rappresenta una grande piattaforma di trasformazioni d’eccellenza, la cui reddittività sostituisce le ricchezze prodotte da quanti dispongono di materie prime. Con l’imposizione delle sanzioni da parte dell’Unione si sono dissolte le certezze per la sostenibilità dei costi di produzione, senza contare sulla disponibilità dell’energia necessaria per far funzionerà tutto il sistema economico sociale.
L’importanza strategica di questo mutamento è confermata dall’accelerazione al ribasso che l’euro ha subito in particolare contro dollaro proprio dopo lo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia. I valori sono scesi sotto area 1.05/1.03 mettendo in crisi la tenuta dei minimi che dal 2015 hanno sempre delimitato le fasi cicliche di debolezza della divisa europea.
La prova di queste criticità è stata avvalorata ulteriormente dalla violazione della parità sul dollaro durante l’estate. In precedenza l’euro aveva violato tali valori soltanto durante i primi anni di vita, quando buona parte del mercato reputava la moneta unica poco meritevole di fiducia. Negli anni che vanno dal 2000 al 2002 i mercati hanno attribuito al progetto UEM scarsa affidabilità a causa dell’ampia eterogeneità presente tra le economie sottostanti fissando durante minimi attorno a quota 0,82 eur usd. Negli anni il segno di questo pregiudizio è emerso in ogni qualvolta sono scoppiate crisi di natura economica o finanziaria. Nel 2012 il presidente Mario Draghi, da poco eletto a capo della BCE, ha lanciato il suo – whatever it takes– ancora una volta per sottrarre l’euro dal rischio di un breakup.
Oggi con l’inflazione che torna ad esprimere un ciclo espansivo, i mercati si interrogano ancora sulla tenuta dell’area monetaria.
In assenza di una soluzione strutturale che consenta all’UEM di ritrovare un equilibrio sostenibile sul fronte delle forniture energetiche, l’euro rischia di rimanere vulnerabile ed esposto a ciclici venti recessivi.
Poco può fare la BCE, molto la geopolitica economica.
A questo elemento di forte criticità dobbiamo sommare la necessità degli Stati Uniti di promuovere con ogni mezzo la centralità del dollaro sui mercati. Pensiamo che per perseguire questo obbiettivo le amministrazioni americane faranno tutto ciò che è necessario per tenere il valore della loro moneta sostanzialmente forte. Almeno fino a quando le ragioni di potenza geopolitica lo richiederanno.
Siamo tutti consapevoli che nel futuro prossimo, la competizione per il primato geo economico si giocherà su una nuova mappatura dei mercati, con il rischio che la faglia tra Eurasia ed Occidente possa creare tensioni complesse da gestire. I contendenti lavoreranno per affiancare, quando non sostituire, il dollaro con altre monete nella denominazione degli scambi commerciali e soprattutto nella quotazione delle materie prime. Per contrastare queste forze, gli Stati Uniti faranno il possibile per tenere alto il valore della propria moneta in modo da disincentivare piani alternativi.
In questo gioco di potenza l’Europa, senza materie prime e dipendente da ogni fonte energetica di natura fossile, rischia di dover aggregarsi ad uno dei poli attrattori. La ricerca di fonti di energia alternativa (sussidiate da quelle rinnovabili) sarà fondamentale per emancipare il Continente da un ruolo gregario. Con la transizione energetica oltre al pianeta salveremo noi stessi da una funzione subordinata.
L’attuale recupero dell’euro rischia quindi di rimanere tattico qualora non si riesca a risolvere nel tempo questi problemi. Su queste basi il mercato guarderà a breve termine il comportamento dei prezzi in area 1.03/1.05 eur usd, livello dove si sono formati i minimi relativi nei precedenti cicli. Qualora dovesse fallire il tentativo di consolidare oltre tale range e di riconquistare 1.10 dovremo considerare ancora attiva la percezione implicita negativa degli investitori e prepararci ad un ritorno temporaneo di ulteriore debolezza.
